Avevo mollato. A gennaio mi ero detto basta, stop. Dopo una rincorsa lunga quattro e rotti anni avevo perso la mia occasione, ero convinto di aver perso la qualificazione alla mia Olimpiade.
Rigurgitato da quel mondo che avevo in ogni modo cercato di rendere il mio mondo, che per un momento mi aveva accettato, salvo poi rendermi davanti al fatto compiuto che così non era.
Non ho passato un periodo facile, ho visto gli altri sfrecciare su macchine più o meno belle con me seduto su un autobus sgangherato fatto di sogni in frantumi e rimpianti. Non sono andato oltre, non ci sono mai realmente riuscito. Mi sarebbe piaciuto fare come nei tipici film americani, fermare un taxi, saltarci su e lanciarlo all'inseguimento di quell'amore che non poteva scapparmi. Di quell'occasione che mi stava scappando dalle mani e probabilmente ho lasciato andare per sempre.
Ma non l'ho fatto, ho solo guardato tristemente fuori dal finestrino lo scorrere lento del traffico. Ben consapevole che stessi perdendo tempo, ma anche che se fossi sceso e mi fossi lanciato in una folle corsa avrei visto passarmi a fianco anche lo stesso autobus da cui ero sceso.
Mi sono autodetto "Bag It" (indicativamente un "smettila/vattene"), quelle due parole che Sport Illustrated mise in prima pagina per suggerire a Michael Jordan di smetterla subito di giocare a baseball. Ma io non sono Jordan e non avevo un basket da tornare.
Fino a un paio di settimane fa, quando sono iniziate le Olimpiadi. Tokyo mi ha ridato voglia di guardare lo sport, di vivere lo sport in pieno. Cosa che nemmeno gli Europei erano riusciti in pieno a fare.
Ho sempre avuto un'attrazione quasi fatale nei confronti dei Giochi Olimpici. Le storie di uomini e donne, prima ancora che atleti, che si giocano tutto in due settimane, all in. 15 giorni che poi rimbomberanno nella loro testa per i successivi 4 anni, quando torneranno nell'ombra (soprattutto in Italia), dopo essere stati il centro dello sport e i simboli del tifo nazionale. La triste fine degli sport minori.
E allora, ecco che, da figlio di sport minore attratto come una calamita dal pallone, ho deciso di darmi l'ultima chance. Una rincorsa lunga 3 anni. Voglio provarci, devo provarci, per me e per rispetto nei confronti delle persone, poche, che nel mondo del giornalismo hanno creduto in me e hanno voluto
darmi una chance. Non voglio mollare con una pacca sulla spalla e un peccato nella borsa.
Voglio provare a fare quello che sempre in troppo pochi fanno, tenere i fari puntati sul resto del mondo dello sport italiano anche quando a Tokyo calerà il sipario. Raccontare le persone, prima degli atleti.
E' ambizioso, forse troppo, ma alla fine potrò eventualmente solo trovarmi nuovamente per terra.
Con la consapevolezza di averci provato fino in fondo. Tanto Parigi è già praticamente dietro l'angolo.
Quanto è difficile poter far parte di questo mondo
RispondiEliminaTi auguro di farti "meritare" da una testata giornalistica sportiva.
RispondiEliminaSei un grande.
Never give up.