Jesse Owens e le Olimpiadi di Berlino '36


Berlino, 9 agosto 1936, un atleta nero, da Oakville in Alabama, vince la sua quarta medaglia d’oro. 
Durante le Olimpiadi che sarebbero dovute essere un grande inno alla razza ariana, perché gli XI Giochi Olimpici, voluti da Hitler in Germania dovevano essere la più grande dimostrazione di superiorità della razza tedesca. E in un certo modo le speranze del fuhrer vennero confermate da un medagliere che vedeva la Germania prima indiscussa, sia a livello di medaglie d’oro che come numero complessivo. Ma a rovinare, in parte, la grande festa voluta da Hitler ci pensò un ventitreenne americano, che correva più veloce e saltava più lontano dei tedeschi. Quel ragazzo si chiamava James Cleveland Owens, per tutti semplicemente Jesse.



L’organizzazione tedesca-

Quelle del 1936 sono Olimpiadi che inizialmente Hitler non voleva organizzare, quando, nel 1933, salì al potere. L’organizzazione dei Giochi alla Germania era stata affidata nel ’31 quando ancora era uno stato democratico e diverse nazioni proposero inutilmente un cambio di sede, trovando un secco rifiuto da parte del CIO. Il cambio di idea di Hitler lo si deve unicamente a Joseph Gobbels, ministro della propaganda, che vedeva le Olimpiadi come un eccellente tramite per il messaggio hitleriano, trovando il consenso del dittatore.
Per rendere indimenticabili le Olimpiadi tedesche, il governo di Berlino non badò a spese. Venne costruito da nuovo l’Olympiastadion stadio dove si tennero tutte le gare di atletica e le partite di semifinale e finale del torneo di calcio. Curiosamente, le uniche due finali di una competizione per nazionali giocate all’Olympiastadion sono state vinte dalla nazionale italiana a settant’anni di distanza una dall’altra: Olimpiade 1936 e Mondiale 2006.
Adolf Hitler insieme alla regista Leni Riefensthal

Ma il progetto di Hitler era soprattutto propagandistico, così mise in piedi uno degli uffici stampa più all’avanguardia del tempo, tanto che per tutta la durata della manifestazione venne stampato l’Olympia Zeitung, un bollettino quotidiano tradotto in 14 lingue con una tiratura di circa 300 mila copie. Ma non si fermò alla carta stampata la propaganda hitleriana. Fu attraverso il cinema e la televisione che le Olimpiadi tedesche toccarono l’apice. Il film Olympia diretto da Leni Riefenstahl rimane ancora oggi uno dei più grandi capolavori del cinema dedicati ai Giochi Olimpici, ma anche in quest’opera altamente propagandistica è facile notare la costante presenza di quel ragazzo dell’Alabama, che aveva stregato anche la regista. Il tutto nonostante le pressioni di Gobbels che puntava ad avere un film dedicato alla superiorità della razza ariana.
Un’ulteriore novità assoluta furono i racconti dei Giochi attraverso radio e televisione. Quelle del 1936 furono le prime Olimpiadi trasmesse in diretta. La scelta di Hitler e Gobbels fu quella di favorire al massimo la diffusione degli apparecchi radio in tutte le case tedesche, mettendo la propria tecnologia a disposizione anche degli inviati degli altri paesi, tanto che vennero create più di 3.000 trasmissioni radiofoniche in quaranta tra i paesi partecipanti alla manifestazione.
Ancora più incredibile per il tempo fu la trasmissione in diretta televisiva, una delle prime dirette in assoluto, la primissima in ambito sportivo. E poco conta che si potesse usufruire delle 138 ore di Giochi solo tra Berlino e Lipsia e che le immagini fossero particolarmente sfocate e sgranate, questo tipo di utilizzo della televisione era una novità assoluta. Nelle due città, vista la carenza di televisioni in possesso della popolazione, vennero organizzati diversi Fernsehstuben, locali in cui, a pagamento, si poteva assistere alle manifestazioni.

Jesse Owens domina davanti ai tedeschi-

3,4,5 e 9. 100 metri, salto in lungo, 200 metri e 4x100 metri. Sono questi i quattro giorni e le quattro competizioni in cui Jesse Owens sale sul gradino più alto del podio, lasciando agli altri atleti solo le posizioni di rincalzo. I momenti fondamentali della storia olimpica di Owens sono sostanzialmente due, entrambi il 4 agosto, durante la gara di salto in lungo, dove arriva davanti all’atleta tedesco Luz Long e il saluto a Hitler. Long, atleta medio borghese di Lipsia, tutt’altro che nazista, fece uno dei primi grandi gesti di sportività olimpica, dando consigli a Owens vedendolo in difficoltà nei salti. Per questo gesto venne poi punito dal regime che lo mandò in guerra in Italia, dove morì nel 1943 a Caltagirone. Per anni è stata tramandata la leggenda secondo cui il fuhrer negò il saluto a Owens dopo aver battuto l’atleta ariano su cui i nazisti puntavano maggiormente. La realtà, invece, è stata raccontata dallo stesso Owens nella sua biografia, The Jesse Owens Story, dove racconta che Dopo essere sceso dal podio del vincitore, passai davanti alla tribuna d'onore per rientrare negli spogliatoi. Il Cancelliere tedesco mi fissò, si alzò e mi salutò agitando la mano. Io feci altrettanto, rispondendo al saluto. Penso che giornalisti e scrittori mostrarono cattivo gusto inventando poi un'ostilità che non ci fu affatto.”
Un altro incontro, ancor più ravvicinato, tra i due si ebbe il giorno successivo quando Hitler scese in campo per incontrare gli atleti dopo la gara dei 200 metri piani. Anche in quella situazione la medaglia d’oro era al collo di Owens, ma, al contrario delle altre gare, nessun tedesco era sul podio. L’argento e il bronzo, infatti, andarono rispettivamente all’altro americano Matthew Robinson e all’olandese Martinus Osendarp. Non ci fu mai nessuna stretta di mano tra i due, ma al saluto nazista Robinson rispose con il saluto militare. Nonostante le tante storie tramandate negli anni, le vittorie degli afroamericani nelle discipline dell’atletiche non infastidirono particolarmente Hitler. Secondo la biografia di Albert Speer, architetto molto vicino ad Hitler e poi ministro degli armamenti durante la Seconda Guerra Mondiale, per il fuhrer gli afroamericani rimanevano un popolo primitivo con una costituzione fisica più robusta e adatta alla corsa.

“Non fu Hitler a farmi un affronto, fu Roosevelt” -

Nonostante la scarsa considerazione di Hitler nei confronti degli afroamericani, Owens ricorderà per diverso tempo l’ottima accoglienza ricevuta durante tutta la manifestazione, in contrasto con l’accoglienza ricevuta al suo rientro negli Stati Uniti. Come Owens ricordò in varie interviste non vi furono infatti sostanziali differenze di trattamento dopo le vittorie olimpiche. “Dopo tutte queste storie su Hitler e il suo affronto, quando sono tornato nel mio paese non potevo ancora sedermi nella parte anteriore degli autobus ed ero costretto a salire dalla parte posteriore. Non potevo vivere dove volevo. Allora qual è la differenza?”. A Roosevelt poi venne imputato il fatto di non essersi mai congratulato con l’atleta non invitandolo alla Casa Bianca e nemmeno facendogli una chiamata.
Al suo ritorno in America, Owens si ritirò dall’atletica dopo la squalifica inflittagli dal comitato statunitense in seguito il rifiuto di partecipare ad un meeting a Stoccolma. Finì così a gareggiare, sotto lauto compenso, a Cuba, per ridotte platee di ricchi bianchi, contro cani o cavalli purosangue, spesso vincendo.
Ignorato da Roosevelt e dal suo successore Truman, fu solo nel 1976 che il presidente Gerald Ford lo premiò, in una cerimonia pubblica e in diretta televisiva, con la Medaglia della Libertà, il più alto riconoscimento americano, per i suoi meriti sportivi. Morì di cancro quattro anni dopo a Tucson, AZ, con la certezza che finalmente anche gli Stati Uniti avevano rimediato all’affronto fattogli da Roosevelt. Solo con 30 anni di ritardo.
Il presidente Gerald Ford con la moglie Betty dopo la cerimonia insieme a Jesse Owens e la moglie Ruth

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