Leo Messi e la maledicìon albiceleste

7 campionati spagnoli, 3 Cope del Rey, 6 Supercoppe di Spagna, 4 Champions League, 2 Supercoppe europee, 2 coppe del mondo per club, 4 Palloni D'Oro e una serie più o meno infinita di record e trofei individuali, tra cui anche il premio come miglior giocatore del mondiale brasiliano.
Questo è il palmares in maglia catalana, del miglior giocatore di tutti i tempi, o almeno uno dei migliori. A braccetto con Maradona. Ma non ditelo troppo ad alta voce in Argentina.
Perchè nella terra che ha dato i natali ad entrambi i piccoli nani mancini, che hanno estasiato ed estasiano il mondo del pallone, il paragone non esiste.
Diego es mas grande que Messi y Pelè. Diego es el mas grande de todos.
Senza possibilità di replica. Di Diez ce n'è uno solo. Quello che ha fatto sognare un paese intero per tre mondiali, portando la nazionale sudamericana sul tetto del mondo nel 1986, per poi arrivare ad un rigore di Brehme dal possibile bis a Italia '90.
Quello che alla fine manca a Messi. Profeta sudamericano sì, ma in terra straniera. Anche se poi la Catalunya è diventata la sua nuova casa, quasi quanto, se non più, della stessa Argentina. Quanto meno per l'amore che mostra nei suoi confronti.
Perchè se scappi dalla tua terra da bambino e non ci ritorni mai a giocare, se non vestendo la maglia albiceleste, i tifosi ti accolgono con diffidenza, si chiedono perchè il marziano che in televisione fa cose complicate anche solo da pensare, quando torna a casa diventa un uomo qualunque, con momenti di folle genialità. Che possono spostare l'ago della bilancia, sia chiaro, ma sono solo momenti. E' questo è il grande paradosso di Messi e Tevez, per esempio. L'Apache è quello che Leo non sarà mai: uno del popolo.
La famiglia Messi ha lasciato l'Argentina quando Leo era ancora bambino evitandogli la povertà del suo paese natale. L'ha cresciuto in Spagna, con i soldi del Barcellona. E la Pulga è diventato quello che è in maglia blaugrana. Mai Millionarios, mai Xeneizes, mai davvero argentino. Ma nemmeno riferimento al suo paese quando segna dopo un gol, e sono molte le occasioni. Tevez, ogni partita, porta, sotto la maglia da gioco, una maglia con il nome di un quartiere povero di Buenos Aires e la mostra ad ogni gol.

Leo è meno divo e probabilmente ha meno carattere di Maradona, e Tevez, e ciò pesa come un macigno ogni volta che scende in campo con la fascia da capitano al braccio e la 10, che fu di Diego, sulle spalle. Non è bastato un Mondiale con il Pibe de Oro in panchina ad incensare la sua stella e le varie dichiarazioni di Maradona in difesa del talento di Messi. Per gli argentini ci sarà sempre uno e un solo dio pallonaro e quello si chiama Diego Armando Maradona. Almeno fino a che a Messi non riuscirà di trascinare i suoi compagni ad una vittoria internazionale, così come succede costantemente in Europa.
Ironia sulle finali perse/Twitter
Non bastano le Olimpiadi di Pechino 2008 agli argentini per fare spazio sull'altare a fianco a Diego. Ci vuole almeno una Copa America, ancora meglio una Coppa del Mondo. Con Messi che non si eclissi completamente nelle partite più importanti, ma si metta sulle sue spalle, che paiono sempre più strette, una squadra e una nazione che attende di esultare da troppo tempo.
E' scomparso nella finale in Venezuela contro il Brasile nel 2008, annichilito dalla Germania un anno fa e costretto a far paura solo da calcio piazzato contro il Cile, allenato dall'argentino Sampaoli.
L'uomo delle finali di Champions, solo contro la Juventus è rimasto a secco giocando comunque un partitone, non è ancora riuscito a trovare la sua dimensione con la sua Nazionale e adesso il rischio è che la Copa America negli USA del 2016 (edizione speciale per il centenario) e Russia 2018 possano essere gli ultimi appelli per un giocatore, che verrà ricordato da tutti come il migliore di sempre a fianco, se non al di sopra, di Maradona. Per far ricredere chi in Argentina ha ancora dubbi ci sarà da sfatare la Maledicìon.
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