Fenomenologia del numero: La leggenda del numero 10

Fin dalla sua nascita, nell'uggiosa terra d'Albione, il gioco del calcio ha sempre necessitato di una caratterizzazione specifica dei giocatori. La numerazione delle maglie è, da subito, sembrata l'idea migliore.
E' capitato, in tempi moderni, che un giocatore venisse ammonito tre volte prima di essere espulso (Coluka ai Mondiali 2006), immaginiamo se, in assenza di numeri, tutto dovesse essere affidato solo e soltanto alla memoria del direttore di gara.
Tra tutti i numeri ve n'è sempre stato uno che ha brillato di luce propria, creando un alone di quasi leggenda intorno a sè, ed è sempre stato il numero più ambito: il 10.
Sarà perchè a scuola ci hanno insegnato che il 10 è sintomo di eccellenza e perfezione, sarà che è il primo numero a due cifre, sarà che al suo interno contiene i primi due numeri, ma la numero 10 andava quasi sempre sulle spalle del giocatore più forte, più fantasioso, il giocatore che poteva cambiare la partita con un gesto tecnico fuori dal comune o sorprendere la platea con giocate fuori dal comune. Il numero 10 era, ed è ancora, un giocatore speciale. Fino a metà degli anni '90, prima della personalizzazione delle maglie, tutti potevano sperare di indossare quella magica maglia ogni partita.
Poi, anche per questioni di marketing, sopra il numero è comparso un nome e la 10, da maglia destinata a pochi, è diventata un effigie solo per pochissimi eletti del gioco.

Baggio e Maradona doppio 10/Twitter
Esempio lampante della possibilità di muoversi della maglia numero 10 a cavallo tra gli anni '60 e '70 La 10 milanista si è tante volte accomodata, esultante, sulle spalle di Gianni Rivera, mentre in Nazionale faceva la spola tra le sue e quelle del "Baffo" Mazzola; perchè uno dei due partiva in panchina, per poi avvicendarsi con l'altro a gara in corso. Come la storia del calcio insegna, numeri 10 si nasce non si diventa. Nessuno avrebbe mai pensato di non dare l'onore e l'onere di questo numero a giocatori come Sivori o Altafini, Maradona o Platini, Zidane o Baggio, Rui Costa o Del Piero, Totti o Ronaldinho, Rooney o Messi. E si potrebbe andare avanti all'infinito. Questi giocatori rappresentano la poesia in movimento, le mirabolanti novità dello sport più seguito in Europa.
può sembrare utopistico e fuori luogo, ma si può dire che Maradona ha cambiato il calcio come il jazz la musica: gli ha tolto un tempo, un tocco, un secondo.
Platini ha rispolverato la grazia dei grandi impressionisti francesi, tocchi dolci, ma decisi. Si va sulla luna solo a guardarlo.
Baggio e Zidane hanno rappresentato i libri di Conan Doyle regalati al pallone, tenevano sempre sull'attenti, non potevi perdere nulla: il colpo di scena, la soluzione del giallo, era sempre in agguato.
Per Del Piero parla il soprannome, Pinturicchio un artista del pennello, perchè i suoi colpi a giro sul palo lontano erano veri e proprio colpi di pennellate d'artista, opere d'arte lasciate lì per il pubblico, ancora oggi guardando conclusioni simili parliamo di "tiri alla Del Piero".

Negli ultimi anni, ormai, la poesia del numero 10 è andata scemando e il numero viene assegnato più per obbligo morale o di marketing, vedi Honda al Milan, che per reali qualità tecniche del giocatore.

Io credo ancora che il 10 sia, o debba essere, il giocatore dei tocchi e delle giocate di prestigio, degli assist impossibili e dei gol fantascientifici; quello che trotterella per il campo e poi ti fa vincere le partite in un amen. Seedorf, uno dei miei giocatori preferiti, è stato il giocatore moderno più rappresentativo di questa categoria.
Tevez con la 10 del Boca/Twitter
Il 10 mi piacerebbe non fosse quello con la capigliatura più bella o la risonanza mediatica maggiore, a loro sia dato un 27, un 11 o un numero qualunque. La poesia del 10 lasciatela ancora ai nostalgici del calcio passato e ad eletti che vengano a mostrarci ciò che regna nel mondo della fantasia.
Anche perchè non serve essere belli per essere forti. Tevez alla Juventus negli ultimi due anni l'ha ricordato a tutta l'Italia e l'Europa, ogni volta che scendeva in campo. Adesso lo ricorderà anche nell'amata Argentina con la maglia che fu di Diego.
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